5. La telefonata – 18 settembre 1974

Cara Mary,

Ha appena chiamato papà.

Quando ha squillato il telefono ero in salotto a guardare la Tv mentre mamma preparava cena. Ho tirato su la cornetta senza pensare a chi potesse essere e dall’altra parte c’era la sua voce, quella così calda che scalda le stanze più di un caminetto, quella che ascolterei per ore cantare sotto la doccia, quella talmente profonda che può guardarti dentro, sentirti come fa il dottore quando ti ascolta la schiena. Io c’erano troppe cose tutte insieme che avrei voluto dirgli e che si ostacolavano l’una con l’altra in gola, e non riuscivo a parlare. Lui invece era perfetto come un disco registrato, mi ha chiesto come sto, come va la scuola, e io gli ho farfugliato che sì, va tutto bene. Non gli ho detto della signora Lust perché non mi andava farlo preoccupare. Gli ho chiesto come vanno i suoi concerti, e quando torna. Pensa Mary, stanno girando da una città all’altra su un pulmino, dev’essere un’avventura pazzesca viaggiare di notte e ritrovarsi ogni giorno in un posto diverso. Mi ha anche detto che devo avere ancora un po’ di pazienza. Ma che è come se fossi lì con lui, perché ogni volta che sale su palco si porta la lettera che gli ho scritto quando è partito nella tasca dei jeans.

Gli ho poi passato mamma, che mi ha detto di tornare alla Tv: doveva raccontargli della zia che sta male. Io certe cose non voglio sentirle, credo che la gente ne parli troppo. Forse, se ne parlassimo meno, le cose brutte ci lascerebbero stare o almeno passerebbero prima. Quando mamma è venuta a chiamarmi per la cena aveva gli occhi rossi. Povera zia, deve essere messa davvero malissimo.

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